è una domanda che mi pongo spesso così come se la pongono molti studenti. Mi riferisco ai laureati in Comunicazione (laurea triennale) e in Nuovi media e comunicazione multimediale (laurea specialistica) usciti da Unimore nel 2008 e che hanno incominciato a lavorare dopo la laurea. Se appartieni ad uno di questi due gruppi sarebbe utile sapere:
- che lavoro fai?
- come ti trovi a fare quel lavoro? (aspetti positivi e aspetti negativi)
- alla luce della tua esperienza hai suggerimenti da fare per la didattica (contenuti e metodi)?
? Mi dirai: ma per sapere queste cose c’è AlmaLaurea! Lo so. Il problema è che AlmaLaurea mi dice oggi (febbraio 2009) cosa fanno i laureati del 2006 (→ indagine 2007 sui laureati 2006). E poi, con tutto il rispetto per le indagini statistiche, non fa parlare i laureati. Qui non ho nessuna ambizione di rappresentatività statistica ma solo il desiderio di sentire la voce dei laureati che lavorano. E poi, perché no, di metterli in contatto con gli studenti che sono interessati al lavoro che ciascun laureato fa.
Consiglio la lettura di questo articolo apparso il 19 marzo 2009 su Corriere.it di Lorenzo Salvia:
L’Italia non è un paese per giovani
Ci sarebbe da farci un articolo e intitolarlo proprio URG (Urge Ricambio Generazionale), soprattutto di coloro i quali non sono in grado di tenere il passo con i tempi.
Io mi sto per laureare, e di lavori ne ho girati tanti, girati è il termine adatto.
Ho fatto dal cameriere a 50min da casa (e si fidi l’inacuto lettore, una volta chiuso il locale farsi 60 min di macchina è pesante) al barista, al caposala, l’apprendista plasticista, ho lavorato in campagna (raccolto mele, uva e pere. lo sapevate che i succhi di frutta vengono fatti con i frutti marci o bacati?), ho fatto il selezionatore di personale presso una nota agenzia di lavoro interinale che inizia per A., come stagista, non mi sono stati consegnati manco i buoni pasto giornalieri, che mi spettavano di diritto (stage sotto super visione della casa madre Università).
E’ vero ci sfruttano, ma penso anche al giorno d’oggi manchi la coscienza del sacrificio. Non martirio, ben inteso, sacrificio. Metterci un pò di più, non staccare quando la lancetta cade esattamente sullo scadere delle 8 ore. Io ho incontrato gente che con il mondo lavorativo non c’entrava nulla, ma anche signori e signorine con lauree specialistiche, vero che si è sotto-pagati, poco considerati, ecc ecc bisogna farsi valere, far buon viso a cattivo gioco. Manchiamo (e mi includo) di spirito d’iniziativa, non abbiamo una coscienza piena, una maturità nella visione di ciò che ci circonda.
Vero che le aziende richiedono esperienza al giovane, che se non può farla si ritrova in un circolo vizioso, ma non è nell’implementare discipline pratiche nell’offerta formativa la soluzione, la teoria è la base, il vero problema è nell’organizzazione delle aziende. Ad oggi si possono stipulare tipologie di contratti che sono vere e proprie trappole, che vanno contro tutto ciò che si può definire sviluppo. Pensiamo all’assassinio delle agenzie interinali, se hai un profilo interessante (e non è quello di un laureato, ma quello di un operaio che lavora su controllo numerico), tu teoricamente hai la possibilità di lavorare incessantemente per tutta la via, problema: lavorerai senza alcuna specializzazione, passando da un lavoro all’altro, saprai fare di tutto e niente. E l’azienda può permettersi di pagarti una fischiata, non sei un operaio specializzato. Niente esperienza, niente aumento di livello, niente gratificazione monetaria. Sembra che vogliano un popolo di gente imbelle, priva delle così dette skill lavorative.
Gli stage non dovrebbero essere guardati come occasioni per sfruttare un giovane, ma come occasioni per farsi le ossa (e questo vale sia per azienda che per stagista), per investire su un ragazzo di 20anni che se ben formato e se sarà un buon elemento, frutterà alla mai azienda una trentina di anni di lavoro. la formazione,il puntare sul potenziale umano è questa la chiave dello sviluppo! non l’aumento del consumo, non internet, che santo dio aiuta, ma tu puoi avere tutti gli ultimi ritrovati della comunicazione, connessione, network che vuoi se però non sai adoperarli, sono inutili (non dico usarli, ma adoperarli).
Volete una soluzione? vogliamo lo sviluppo? aboliamo le agenzie interinali, scendiamo nelle piazze a parlare, smettiamo di pensare che l’università vada fatta “a memoria” ma che sia obbligatorio capire e applicare, riconquistiamo le nostre verande, i nostri giardini. Riscopriamoci come persone, come identità, non cerchiamo amici su facebook. Impegniamoci, mi angoscia questo stato di immobilità in cui ci hanno gettato. In cui mi vedo gettato. Dove sono i moti universitari?! Le nostre cetre da quanto sono rimaste appese?! E non crediate che la politica sia meglio, nossignori, ai ragazzi di un noto partito dopo elezioni durate settimane, dopo aver fatto eleggere un gran capoccia tra loro, a questi giovani hanno dato la possibilità… di organizzare una festa. Ci stanno prendendo in giro, e noi a lamentarci dell’università. L’università è fatta male, ma non è meglio dalle altre parti (nella nazione dico), il problema è nella chimera della flessibilità, ora siamo flessibili e ci pieghiamo al vento della crisi senza prendere una decisione ferma in tutto questo caos. Si parla di cambiare la costituzione ma non il nostro sistema politico, abbiamo avuto lo psiconano al governo per quasi 11anni, in America, la grande America, un presidente può fare al massimo 2 mandati… poi a casa. quindi c’è tutto da rifare? Sì può darsi, ma non lamentiamoci, perché saremo noi che un giorno avremo possibilità di cambiare, non è internet, non è un’università lenta e torica a prova del primo Pico della Mirandola che passa, ma il problema è la reale specializzazione delle persone. Chiudo con un esempio: perché il burro prodotto in Olanda, costa meno del burro prodotto in Zimbabwe?
Apriamo gli occhi e rimbocchiamoci le maniche, vi lascio con una frase che mi disse un mio collega di lavoro “quelli bravi non sono quelli che non sbagliano, tutti sbagliamo, ma sono quelli che sanno rimediare all’errore alla svelta” e una frase che mi fu detta dal mio pizzaiolo Abram quando gli stavo spiegando come migliorare l’organizzazione del mio angolo di lavoro ” tu non sei pagato per pensare”