è quello che emerge dall’indagine del consorzio AlmaLaurea sui laureati italiani del 2008. Visto che molti sparano a zero sulle lauree triennali vediamo qualche dato relativo ai 100.245 laureati delle lauree brevi che hanno preso parte all’indagine (su una popolazione complessiva di 109.140 laureati)(→ profilo dei laureati triennali per facoltà).
I dati sulla soddisfazione per gli studi seguiti sono contradditori rispetto all’immagine negativa che l’università italiana ha sui media: l’86% si dichiara soddisfatto o abbastanza soddisfatto del corso di laurea seguito (il 34% è “decisamente soddisfatto”, il 52% si dichiara “più sì che no”).
Quello che ho appena riportato è il valore medio globale: come è intuibile ci sono differenze tra le facoltà. La quota di laureati “decisamente soddisfatti” tocca il livello minimo nelle facoltà di Architettura (16%) e Scienze della Comunicazione (19%) mentre supera il 50% a Chimica Industriale (54%), Scienze Biotecnologiche (52%), Economia e gestione Aziendale (68%), Scienze sociali (59%), Scienze statistiche (54%). E comunque sia anche nelle Facoltà di Comunicazione il 74% dei laureati triennali del 2008 si dichiara “soddisfatto o abbastanza soddisfatto”.
Come spiegare questa diffusa soddisfazione per un’esperienza in un’istituzione tanto spesso criticata? Penso che la soddisfazione dipenda dai punti di riferimento posseduti dai laureati: famigliari e personali.
- Punti di riferimento famigliari: quando ero studente ricordo che parlavo con mio padre delle condizioni di studio e di lavoro in università. La mia esperienza di studente di Scienze Politiche nei primi anni ’70 era distante anni luce da quella che aveva fatto mio padre come studente del Politecnico di Milano 40 anni prima. Questa occasione di confronto manca a molti laureati di oggi: 4 laureati su 5 sono figli di genitori non laureati che vedono l’università come un’entità mitica.
- Punti di riferimento personali: quando ho vinto una borsa Fulbright e sono andato a studiare alla University of California (Loas Angeles, prima e Berkeley dopo) ho scoperto un altro pianeta. E mi sono reso conto della distanza abissale che separava la mia esperienza universitaria: di colpo mi è apparsa totalmente inadeguata e insoddisfacente. Da questo punto di vista Erasmus può essere un momento importante per rendersi conto di quanto le nostre università siano distanti da quelle di altri paesi: ma si tratta di un’esperienza che è stata fatta solo dal 5% dei laureati del 2008. (Su quanto un’esperienza all’estero renda gli studenti più critici verso la realtà universitaria nostrana ti rimando al video di Mattia Bacchetti & Co. Unimore Vs. Oslo).
@lary1984: la soddisfazione è alta a Comunicazione come altrove. E’ l’alto livello di soddisfazione che va spiegato. Cobain86 sembra dire: se frequenti tendi ad appassionarti e diventi soddisfatto se non frequenti (e non ti appassioni) no. La domanda quindi è “quali sono le variabili che spiegano (sono associate) alla soddisfazione? Io ho detto le mie: livello di istruzione dei genitori e esperienze di studio all’estero (Erasmus).
qllo ke penso io è ke psicologicamente la gente tende a giudicare positivamente l’università SOLO DOPO aver conseguito la laurea. sarà l’entusiasmo momentaneo, non so. ecco spiegato, a mio avviso, quello strano 86%.
per quanto riguarda i punti di riferimento, familiari o personali, sono abbastanza d’accordo con lei prof.
i miei hanno la terza media (ma sono della generazione del dopoguerra), e quindi non riesco a confrontarmi con loro, nè hanno potuto aiutarmi nella scelta iniziale. solo i miei fratelli sono riusciti a darmi qualke consiglio, ma essendo più o meno della mia generazione, il confronto è risultato povero di spunti interessanti.
l’unico punto di riferimento utile rimane pertanto quello mio personale, fermentato dopo l’esperienza ERASMUS in NORVEGIA.
lì ho capito ke le critike ke per anni ho letto e sentito sulle università italiane erano fondate e del tutto veritiere.
come direbbe il caro BERTOLINO, lì “HO VISTO COSE CHE VOI UMANI (politici e rettori universitari italiani) NON POTETE NEANCHE IMMAGINARE”: campus, wi-fi gratis, strutture ultramoderne e tecnologicamente avanzate, aule attrezzate, docenti “aggiornati” e non di stampo medievale, e molto altro ancora.
tutte cose ke fanno dell’italia uno dei paesi industrializzati + arretrati d’europa sotto il profilo dell’istruzione.
a mio avviso sarebbe + sensato far giudicare l’università italiana da chi ha testato anche qlle straniere..
mai ci fu proverbio + azzeccato per fotografare la realtà italiana: “nella città dei ciechi, chi ha un occhio fa il sindaco…”
E’ arrivato anche nella mia casella email l’annuncio di pubblicazione dei dati almalaurea, spero di leggerlo il prima possibile, ma vedendo queste prime riflessioni non posso che ritrovarmici in mezzo.
I miei genitori hanno la licenza elementare e io non ho mai effettuato alcuna esperienza Erasmus. Forse è per questo che mi reputo soddisfatta dei miei studi. Non so se la mia visione sia più o meno distorta da queste caratteristiche personali e famigliari, ma a prescindere da questo ritengo che l’università di Comunicazione a Reggio mi abbia dato tanto, al di là delle conoscenze nude e crude. Parlo del mio attuale modo di essere, della curiosità, della voglia di fare, dell’espansività, del coraggio delle mie scelte.
A volte credo bisogna andare oltre alla superficie. Una facoltà di Comunicazione non è solo un mix di corsi di studio ma anche qualcosa di più. Un modo di essere e di percepire che gli studenti devono imparare ad apprezzare e ad usare quotidianamente. Rifarei la mia scelta altre mille volte. Sempre a Reggio.