tra il 2001 e il 2004 sono stato docente a contratto in alcuni atenei: Milano Bicocca, Milano Statale, Genova, Reggio Emilia. Le condizioni di lavoro non erano esaltanti: circa 6.000 euro lordi per tenere un corso e relativi esami. Il compenso veniva pagato a fine anno ed era onnicomprensivo di qualsiasi spesa sostenuta (hardware, software, viaggi, pernottamenti, libri, ecc.). Un vero affare per le università che in questo modo hanno garantito la copertura di insegnamenti senza dover procedere ad assunzioni.
Il gioco è andato avanti per diversi anni: da sempre ci sono caterve di soggetti disposti ad insegnare a qualsiasi prezzo, alcuni (non pochi) anche gratis. I motivi sono diversi: c’è chi non ha niente da fare e si dedica alla didattica con la devozione di un missionario benestante, c’è chi si mette in coda dietro la carota del concorso di ricercatore, c’è chi pensa (a torto o ragione) che scrivere “docente universitario” sul biglietto da visita aumenti la redditività nella sua professione (di medico, architetto, ecc.), c’è anche chi non saprebbe cos’altro fare per portare a casa 6.000 €.
La situazione era di soddisfazione per tutti: gli studenti si trovavano di fronte individui smaniosi di farsi benvolere, i docenti ufficiali potevano scaricare i corsi meno graditi su questa ciurma, i docenti a contratto erano contenti di sentirsi professori, le università aumentavano l’offerta didattica con logiche di “paghi 1 prendi 3“.
Adesso però questo tipico gioco all’italiana rischia di essere arrivato al capolinea. Stamattina ho ricevuto questa mail del Codacons:
Pregiatissimo Professore ,Ter.mil.cons., Le scrive la presente lettera per conto dell’associazione Codacons, dopo aver rinvenuto il suo indirizzo mail dall’elenco ufficiale del MIUR e Le comunica che è intenzione del CODACONS promuovere ed organizzare un’azione collettiva (c.d. class action) contro il MIUR e le Università Italiane, con la quale chiedere il riconoscimento della giusta retribuzione per i professori c.d. a contratto (definiti dall’art. 25 del DPR 380/1982 e s.m.i.) , che hanno ricevuto incarichi presso i suddetti Atenei, svolgendo in sostanza tutti i compiti di un professore di ruolo, tuttavia percependo in cambio un compenso notevolmente basso, senza neppure il riconoscimento dei diritti previdenziali.Tale azione sarà avviata a breve nei confronti delle suddette istituzioni con ricorsi presso il giudice competente.Si tratta di recuperare decine di migliaia di euro fino a raggiungere i compensi almeno dei ricercatori universitari con gli interessi e la rivalutazione.Comunque, Le segnaliamo l’urgenza – per non far decadere i suoi diritti e anche se non avvierà l’azione ora – di immediatamente procedere all’invio di una lettera interruttiva della prescrizione del suo diritto a percepire tali somme (che ai sensi del codice civile, art. 2948, nn. 4 e 5) matura in 5 anni, con decorrenza dalla cessazione del rapporto di lavoro. Potrà scaricare gratuitamente e senza alcun impegno il modello di lettera per l’interruzione compilando l’apposito form presente all’indirizzo internet http://www.termilcons.net/index.php?pagina=page_publicForm&idForm=49&css=1Al contempo, La invitiamo, se conosce colleghi che hanno diritto a partecipare a tale azione ad informarLi oppure a metterli in contatto con il CODACONS inoltrandogli questa mail da Lei ricevuta.
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la class action mi sembra la versione riveduta e corretta delle operazioni di lobbying che portarono alla ruolizzazione di assegnisti e contrattisti nei primi anni ’80 (legge 382 1980). Anche costoro avevano firmato contratti sapendo bene che l’ingaggio era a tempo determinato. Comunque nei prossimi mesi sarà anche interessante vedere come si muoveranno le migliaia di ricercatori di ruolo se le promesse di Tremonti al ministro Gelmini non verranno mantenute.
Forse la class action prenderà piede anche in Italia. E sarà un bene per tutti quelli cui è stata carpita la buona fede o che hanno subito un danno ingiusto. Assumo invece che le persone adulte che hanno firmato un contratto con un ateneo fossero in grado di intendere e di volere. So benissimo che i contratti di insegnamento sono stati e sono lontani da criteri accettabili di equità. Ma chi firmava sapeva (e sa) a cosa andava incontro. L’idea che il mio contributo all’erario serva per mettere una pezza a una politica scellerata e finisca per rimborsare alcune migliaia di medici benestanti mi lascia davvero perplesso.