se la cosa ti rassicura, alla fine del titolo puoi aggiungere un punto interrogativo. Ma l’articolo che ho appena letto non lo fa e titola, in modo netto, Even in a Recovery, Some Jobs Won’t Return (→ articolo di Justin Lahart, Wall Street Journal, 12.01.2010). Eh sì i lavori cambiano: quando ero un giovane laureato c’erano persone che campavano riparando le macchine per scrivere, e prima ancora quando ero bambino c’erano uomini che ci portavano a casa la barra di ghiaccio da mettere nella ghiacciaia. Quei lavori sono scomparsi.
L’articolo citato contiene un grafico interattivo che mette insieme dati e storie di vita e fa vedere, a colpo d’occhio, i settori in cui la crisi (negli USA) ha colpito più forte:
come vedi, è il settore dell’edilizia (construction) quello dove è stata maggiore la distruzione di posti. Segue l’industria manifatturiera. E l’Italia? Grafici analoghi non ne ho ancora visti ma temo che la situazione non sia poi così diversa…
Beh, si può tranquillamente dire che la situazione è piuttosto similare. Io però ho sempre un pò di dubbi sull’efficacia di queste statistiche. Trovo ad esempio molto più allarmante il dato relativo ai servizi professionali alle aziende rapportato agli USA mentre da noi pare non essere proprio così.
I posti di lavoro sono influenzati moltissimo dagli andamenti marcroeconomici ma si sa anche che i dati di disoccupazione, da soli, lasciano il tempo che trovano, se non confrontati con i dati sulla reale occupazione. E qui ci giochiamo una buona fetta di futuro.
Un dato allarmante da noi è il dato relativo all’occupazione femminile, uno dei più bassi nei Paesi sviluppati. Anche il dato sull’occupazione generale è tra i più bassi. Ormai solo un italiano su due è occupato.Se poi andiamo ancora più a fondo, troviamo i dati relativi alla qualità dell’occupazione relativamente al reddito medio pro-capite, tra i più bassi dell’Europa dei 15, totalmente in controtendenza con il costo del lavoro e l’aumento in percentuale del costo del lavoro negli ultimi anni.
Aquesto punto, fare un raffronto con gli States diventa arduo se non impossibile. Ma è sufficientemente chiaro come il tema del lavoro, in Italia diventerà bruciante e nasconde già il seme del malumore sociale. Siamo seduto su una bomba sociale pericolosissima e nemmeno ce ne accorgiamo, ancora.
Altra enorme differenza tra noi, rispetto agli USA è la capacità di attirare capitali stranieri per investimenti in attività commerciali. Non è un fatto nascosto ai vieppiù, che da noi, gli stranieri ormai scappano a gambe levate lasciando a spasso centinaia o migliaia di lavoratori mentre in USA, l’Italianissima FIAT del tanto criticato Marchionne investe capitali, risorse tecnologiche e futuro.
Occorre a mio avviso, fare delle enormi distinzioni, prima di pubblicare dati relativi ad un Paese, che con tutto il suo sistema industriale è totalmente diverso da noi. Anche la bolla speculativa edilizia, ha origini precise, che non hanno confronti con noi. In USA vigeva, ancora fino a pochi anni fa, l’idea della frontiera, del West, della conquista della libertà individuale. Non è solo originata dalla bolla finanziaria. La bolla speculativa edilizia, negli States, sarebbe terminata comunque.
In Europa, la bolla speculativa edilizia è arrivata trascinata da quella USA ma con ben altri paradigmi e ben altre peculiarità. Da noi è stata fonte di guadagno per le amministrazioni locali che così hanno potuto ingrassarsi, comprire debiti e rimpinguare le fila dei dipendenti pubblici per comprare voti e consenso.
Direi che c’è abbastanza materiale per riflettere su cosa sta davvero accadendo a casa nostra.
Chiedo scusa per l’intromissione.