Cosa mi faceva arrabbiare da studente

Leggendo le notizie sulle manifestazioni studentesche di questi giorni mi sono domandato più volte cosa farei io se fossi studente oggi. Con la memoria sono andato indietro nel tempo per ricordare cosa mi faceva arrabbiare quando ero studente. I docenti! Spesso erano loro il motivo di tanta insofferenza per noi studenti. Non tutti, per fortuna. Ma alcuni ci facevano proprio girare le scatole. Perché? In breve: perché capivamo che a loro non piaceva insegnare e che per loro noi studenti eravamo una perdita di tempo.

Toh, una volta laureato sono diventato così anch’io. Un tempo io odiavo insegnare e volevo fare solo ricerca: così almeno è stato nella prima fase della mia vita accademica. Diciamo per i primi dieci anni dopo la laurea. Come molti colleghi, scrivevo, leggevo, pubblicavo e limitavo scientificamente il tempo da dedicare alla didattica: a differenza di tanti ero un maverick senza un capo (padrone, barone) e potevo fare quello che volevo senza dover portare la borsa di nessuno. A dire il vero, un po’ di didattica la facevo: sceglievo 2-3 studenti brillanti e li ingaggiavo come collaboratori nei progetti di ricerca che svolgevo per enti pubblici vari. Siccome ero stupido li pagavo anche (troppo).

Poi mi sono stufato di studiare una cosa che non cambiava mai. Eh sì perché il mio settore di ricerca era la sociologia dell’educazione e mi occupavo del mio dito indice: mercato del lavoro dei laureati, abbandoni, condizione degli studenti, efficienza del sistema universitario, classe accademica, ecc. E il mio dito indice era infilato in quel barattolo di melassa che era e rimane l’università italiana. Stufarmi di quei temi e di quel Piccolo Mondo Antico è stata una fortuna: ho scoperto i database, gli ipertesti, la consulenza in ambito informatico, la formazione extra-universitaria. Ho guadagnato tanto, ho speso troppo, mi sono reso conto di quanto valesse l’efficienza all’esterno dell’università italiana.

Forse è stata proprio questa fase di lavoro extra-universitario a farmi apprezzare la didattica: ho capito che quello che mi piaceva (gli ipertesti) piaceva a tanta gente. E’ stato un attimo scoprire che mi piaceva insegnare quello che mi piaceva e che piaceva a chi avevo davanti.

Quando poi sono rientrato in università (2001) e ho ripreso ad insegnare la situazione non è cambiata: mi piaceva e mi piace insegnare oggi molto di più di una volta. Certo, ho fatto un sacco di errori nella conduzione d’aula e negli esami. Nel 2001-2003 ero stressato da problemi economici e questo si rifletteva sulla didattica. Pian pianino ho cercato di ricordare cosa, da studente, mi faceva arrabbiare e mi sono imposto di non fare mai lo stesso. In concreto, ricordando alcuni emeriti cialtroni, oggi evito come la peste certi comportamenti. Quali? Questi:

  • fare lezione stando seduto e guardando un libro
  • parlare sempre con lo stesso tono di voce
  • non fare domande in aula
  • fare domande solo in forma di quiz a crocette
  • guardare l’orologio mentre lo studente parla
  • leggere la posta mentre lo studente parla
  • non leggere e correggere quello che gli studenti scrivono
  • trascurare di riconoscere l’impegno e la creatività
  • non ascoltare quello che lo studente dice all’esame
  • ripetere lo stesso corso anno dopo anno
  • tenere per me quello che so
  • essere disorganizzato
  • far perdere tempo alla gente
  • scrivere testi sciatti e pieni di refusi
  • non rispondere alle e-mail
  • annullare una lezione all’ultimo momento
  • non presentarmi agli incontri
  • non ricordare di essere stato studente.

La valutazione della didattica la farei così. Faccio ancora un sacco di errori ma pian piano vedo di ridurli. Come? Con il feedback che ricevo dagli studenti e cercando di “guardarmi dall’esterno”. Il feedback che ricevo dall’istituzione è inesistente e rivelatore della mancanza di attenzione che taluni accademici hanno per gli altri. Conclusione: se non ci fossero gli studenti me ne sarei andato via da un pezzo. Quando facevo il piccolo ricercatore in carriera non avrei mai immaginato che un giorno sarei arrivato a pensarla così.

6 commenti

  1. Alla fine del corso di NM avevo definitivamente aggiunto il suo nome alla lista dei “migliori insegnanti che io abbia mai avuto”. E oggi, leggendo il suo ultimo post, sono contenta di riconfermare la mia idea. Grazie al cielo esiste ancora chi crede nell’insegnamento e cerca, in ciò che gli sta attorno, di trovare ogni giorno nuovi spunti da adattare a se stesso e al proprio modo di insegnare. Da lei traspaiono la passione pura di trasmettere conoscenze mista ad un costante senso di utilità e “intelligenza” di contenuti.

  2. grande prof, è qsta la vera riforma da fare alla scuola italiana.

    e io aggiungo ke sn sempre + a favore dell’introduzione di uno colloquio per gli aspiranti docenti. punti e graduatorie non sono indici di qualità.

  3. Gran bel post!
    Io ho vissuto con Lei il momento del passaggio dalla valutazione a test (domande aperte) a quella con elaborati personali, infatti l’esame di Nuovi Media del 2005 era un esame scritto tradizionale, mentre quelli successivi sono stati sempre in forma di file fonti o piccole tesine. Devo ammettere che quello di Editoria Multimediale è stato uno dei primi esami in cui ho dovuto lavorare a un elaborato: credo che questa modalità di valutazione sia stata un gran passo avanti, lavorando concretamente su qualcosa si impara molto di più che studiare la teoria e rispondere a delle domande e credo anche che la valutazione sia più corretta in questo modo, è infatti più difficile barare.

    Lei è stato anche uno dei primi docenti universitari, che ho avuto, che utilizzava in modo brillante la tecnologia e non faceva lezione con tono monotono e senza interazione: anche questo sicuramente ha contribuito a rendere le sue lezioni le più interessanti del corso, ad aumentare l’attenzione per la materia e la voglia di mettersi in gioco, ma soprattutto ha permesso a persone timide (come ero io una volta) di superare questo problema, intervenendo e esponendo le proprie opinioni. Credo che questa modalità di didattica sia sempre stata orientata alla democrazia e alla meritocrazia: tutti potevano intervenire, se volevano, e se il loro intervento era intelligente erano premiati, quale miglior metodo per superare le proprie paure…

    I temi del corso sono interessanti ma se non vengono affrontati con energia e vitalità risulterebbero comunque noiosi. Altri miei colleghi hanno studiato in varie facoltà nuovi media o editoria, ma non a questo livello pratico e lo studio sui libri non è altrettanto efficace. Lasciar spazio alle creatività e alla propria personalità anche nello studio è essenziale per trasmettere passione e voglia di fare e per migliorare il rapporto studenti-docente.

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